Riportiamo la bella lettera scritta da un’allieva del Curie nell’ambito del progetto “Cercando Fabrizio”, svoltosi lo scorso venerdì 25 febbraio nell’ambito dei laboratori della co-gestione.
Caro Fabrizio, voglio raccontarti di un bambino. Aveva gli occhi nocciola scuro e i capelli ricciolini. Il suo sguardo era sempre sognante, ricco di vita e perso in pensieri meravigliosi che pochi avevano la fortuna di conoscere. Vedeva il mondo in modo diverso, in senso buono s’intende. Per lui tutto poteva prendere vita, avere magia, sprigionare amore.
Non era come gli altri, neanche quando divenne più grande: per questo lo chiamavano folle. Probabilmente è il complimento più bello che potessero fargli. Ovunque andava si circondava di persone e sprigionava la sua follia portando loro momenti di gioia. Tutta la sua energia la raccoglieva in poesie, testi scritti di getto senza mascherare le proprie emozioni. La chitarra e il violino erano impregnati del suo tocco da folle e le loro note lo sapevano trasportare in un mondo ultraterreno, dove l’amore regna insieme all’arte e unisce le persone che si sono perse nel cammino. Ma ora, caro cugino Fabrizio, ti chiedo: perché l’uomo considera la follia e la pazzia come se fossero qualità negative?
Proverò a raccontarti ciò che penso della follia, in attesa della tua risposta.
Per me la follia è qualcosa di innato, di naturale, forse quasi la vita stessa: un insieme di infinite sfumature di essere e di vedere il mondo. È una possibilità data all’uomo per essere in grado di vivere a pieni polmoni la vita. Essa è in ognuno di noi, con le sue ombre e le sue incandescenze emozionali. La realtà della follia è, dunque, diversa da quella della pazzia, nonostante entrambe permettano di percepire in modo diverso ciò che ci circonda. Infatti, la pazzia mostra all’uomo il mondo in modo distorto, portandolo alla sofferenza e al buio ed un pazzo rischia di lasciarsi lentamente calpestare da questa potente sensazione.
La follia, invece, ci trascina in un vortice di creatività che viaggia fuori dalle regole dell’uomo stesso, come una ventata d’aria fresca. Essa è come la sensazione di calore sulla pelle mentre tutto fuori gela. È come la neve che scende e sfiora leggera l’infinito sottostante o come il sole che scalda i cuori e ravviva gli occhi.
La follia è come un insieme di sfumature infinite che illuminano i corpi vaganti nel mondo.
Un folle ama la vita, il dialogo, è qualcuno voglioso d’ogni cosa. Egli può essere paragonato ai fuochi d’artificio che bruciano e bruciano fino a quando non esplodono tra le stelle. Nel mezzo dell’esplosione s’intravede la luce azzurra dello scoppio e tutti, a quella vista così spettacolare, dicono: “Wow!”.
Ecco, quella stessa luce azzurra che lascia tutti a bocca aperta è ciò che viene prodotto da un folle. Quest’ultimo, nel suo immenso ingegno, è capace d’ogni arte possibile perché, come dice il Cappellaio Matto ad Alice, “qualcosa è impossibile solo se tu pensi che lo sia” ed è per questo motivo che “tutti i migliori sono folli”, perché trovano il possibile nell’impossibile. Sarebbe dunque più giusto associare il genio alla follia, non credi caro Fabrizio?
E sei tu che pronunci con tono deciso la stessa frase che disse una volta il Cappellaio Matto ad Alice: “E tu? Tu ce l’hai il coraggio di essere folle?”. Nessuno mi aveva mai posto questa domanda così particolare, profonda e importante.
Ci penso su qualche secondo e decido di non risponderti, parlando, perché sono sicura che dal mio sguardo lo riesci a capire. Se ci ragiono, penso di essere anche io folle, esattamente come te e come la maggior parte delle persone che ci circondano. Sorrido, perché il pensiero di sapere, in fondo, di essere folle mi piace; questo perché per me vuol dire che sono in grado di riconoscere la mia capacità artistica, il mio modo unico e personale di vedere le cose che mi differenzia da tutti gli altri. Perché alla fine, tutti sono folli ma la differenza tra gli altri e noi due è proprio riuscire a capire che esserlo vuol dire essere unici e distinguersi dalla matematica esistenza umana che cerca di renderci tutti solo tanti numeri.
Caro cugino Fabrizio, sono contenta di averti incontrato in questo racconto. Mi hai aiutata a capire che essere folli è un bene perché la follia è un’arte.
Asia Catalano,
3° C Liceo Curie